«La grande onda» di Katsushika Hokusai è una di quelle immagini che riescono a imprimersi nella memoria anche senza bisogno di parole. Un’opera che ha attraversato secoli e culture, conquistando il mondo con la sua potenza visiva e il suo messaggio universale.
Ma cosa rende questa scena di mare così speciale? Perché, tra tanti capolavori, proprio quest’onda minacciosa è diventata un’icona globale, conosciuta e amata in ogni angolo del pianeta? Scopriamolo insieme.
Un’onda che racconta molto più di quanto sembri
«La grande onda» non è solo la rappresentazione di una tempesta, nasconde qualcosa di più. Parliamo, infatti, di una storia fatta di movimento, di paura e di sfida. Hokusai l’ha creata intorno al 1830, come parte di una serie dedicata alle vedute del Monte Fuji. Eppure, in questo piccolo capolavoro su carta, è riuscito a condensare un’idea universale: la forza della natura e la piccolezza dell’uomo.
Quei pescatori sulle barche minuscole non stanno fuggendo, non sembrano terrorizzati: affrontano l’onda, consapevoli del rischio, ma anche del loro coraggio. Ed è forse proprio questo che colpisce: ci riconosciamo tutti un po’ in loro.
«La grande onda» : Un’immagine che parla chiaro, senza bisogno di parole
Uno dei motivi per cui «La grande onda» è così potente è che non ha bisogno di spiegazioni. Non serve conoscere la cultura giapponese o sapere chi fosse Hokusai per sentirsi toccati da quella scena.
L’onda, con la sua forma quasi artigliata, sembra viva. Il Monte Fuji, piccolissimo in fondo, è calmo, immobile. In pochi tratti, Hokusai riesce a creare una tensione che si sente sulla pelle, anche oggi, quasi due secoli dopo.
È questa capacità di arrivare diretta al cuore, senza filtri, che ha fatto sì che l’immagine superasse i confini del Giappone, dell’Ottocento e della carta su cui è stampata.
Quando il Giappone ha conquistato il mondo… senza volerlo
A fine Ottocento, il Giappone si apre all’Occidente. E da lì, l’arte giapponese conquista Parigi, Londra, tutta l’Europa. Monet, Van Gogh, Degas: tutti rimangono folgorati dalle stampe ukiyo-e, e tra queste c’è anche «La grande onda».
Le linee semplici, il movimento congelato nel tempo, la composizione fuori dagli schemi europei: tutto questo affascina e ispira gli artisti dell’epoca. La grande onda diventa uno dei simboli più riconoscibili del Giappone, e inizia lentamente il suo viaggio verso l’iconicità globale.
«La grande onda» oggi: tra poster, tatuaggi e cultura pop
Oggi «La grande onda» è ovunque. La trovi sui poster, sulle cover dei telefoni, stampata sulle t-shirt, reinterpretata nei meme. Ma nonostante questa enorme diffusione, non ha perso la sua forza. In un’epoca di immagini effimere e velocissime, «La grande onda» resiste. Rimane un punto fermo.
«La grande onda» è diventata una delle immagini più famose al mondo perché riesce a toccare qualcosa di universale: la paura di essere travolti, ma anche il coraggio di resistere. È una scena che ci parla in modo diretto, senza bisogno di traduzioni, senza bisogno di spiegazioni.
Piccole curiosità
Quello che molti non sanno è che non si tratta di un dipinto, bensì di una stampa xilografica: Hokusai incise l’immagine su matrici di legno e ne fece realizzare numerose copie, rendendo l’opera accessibile anche a chi non poteva permettersi un dipinto tradizionale.
L’opera fa parte della serie “Trentasei vedute del Monte Fuji”, ed è interessante notare che, nonostante il titolo, il vero soggetto non è l’onda, ma il Monte Fuji sullo sfondo, che appare piccolo, immobile, eterno, mentre l’onda — enorme e potente — si abbatte sulle barche dei pescatori.
C’è poi un altro dettaglio curioso: spesso si pensa che l’onda rappresentata sia uno tsunami, ma in realtà è più probabilmente una “grande onda di tempesta” (okoshinami in giapponese), un fenomeno naturale tipico delle coste giapponesi.
Dal punto di vista stilistico, Hokusai unisce la tradizione giapponese con influenze occidentali: si ispira, ad esempio, alla prospettiva lineare introdotta in Giappone dagli olandesi e all’uso di un colore allora innovativo, il blu di Prussia, un pigmento europeo recentemente importato e molto più resistente rispetto ai blu vegetali tradizionali.
Ed è forse proprio per questo che, ogni volta che la guardiamo, ci emoziona ancora.
Sempre uguale, eppure sempre nuova.